Pooh - Biografia Anni '70: 1979

Anno 1979

Dopo il tour invernale che si chiude al Palasport di Bergamo, le meritate vacanze aspettano i componenti del gruppo e Facchinetti si trasferisce nella villetta a Predore diventata ormai il suo covo. Una domenica pomeriggio, con il sole invernale che bagna la superficie del lago di Iseo, nasce una dolce melodia prontamente registrata, come consuetudine di Roby, su un nastro, dall’inciso particolarmente difficile da cantare. È il demo di "Notte a sorpresa". I suoni del nuovo album ruotano intorno all’Oberheim modulare, acquistato durante il tour appena conclusosi, di cui Facchinetti esplora le sonorità piene e ricche di colore, creando così anche "Aleluia", lo strumentale che diverrà successivamente "Viva", e "Io sono vivo", brano che entusiasma così tanto Roby da portarlo a chiamare subito i suoi compagni per farglielo sentire.

«Ci sono brani che, appena nascono, alla tastiera del pianoforte, ti danno un brivido. Mi era successo con Pensiero e Tanta voglia di lei. Mi succedeva, ancora una volta, con Io sono vivo. Non a caso, piacque subito a tutti. Ancor prima di metterci al lavoro in sala prove, avevamo già un potenziale singolo per l’estate». Roby Facchinetti

Negrini, a suo modo galvanizzato dalle nuove composizioni di Facchinetti, tira fuori un testo che sancisce un altro importante passo nel riappropriarsi della libertà di esprimersi nei suoi testi senza censure e forzature che smorzassero la bellezza delle sue composizioni. Infatti un passaggio in particolare del testo creato per "Io sono vivo" spiazza totalmente il gruppo.

«Quando presentai il verso "Quando la mia donna gode, io sono vivo", l’ombra di frate Savonarola fluttuò nell’aria! Qualcuno si fece il segno della croce, altri chiesero scusa alla mamma, uno chiamò il Santo Uffizio e la buoncostume». Valerio Negrini

«Valerio voleva osare, spingerci verso un cambiamento. Ma a me suonava come una forzatura, qualcosa di gratuito, di poco consono ai gusti nostri e del nostro pubblico. Una giornalista arrivò anche a dirmi: "Il pezzo è bello, però che frase di cattivo gusto…". Io a quel punto mi ero già lasciato convincere dagli altri. Giusta o sbagliata che fosse quella frase, Io sono vivo vinse il Festivalbar». Roby Facchinetti

La freschezza del brano, che lascia che il riff rock della chitarra di Battaglia si stemperi nella ritmica dance di quegli anni, fa storcere un po’ il naso al pubblico abituale dei Pooh, ma evidenzia ancora una volta l’attenzione del gruppo alle nuove sonorità che girano sulla scena musicale, cercando anche di svincolarsi dal loro background di provenienza, come avevano già fatto nell’affrancarsi dal beat. Questa è stata la grande forza dei Pooh: l’attenzione a quel che succedeva intorno e il costruire la loro storia mai riciclandosi ma crescendo e non adagiandosi mai sugli allori. Proprio il cercare di far sì che l’energia dei concerti e del suono “live” del gruppo fosse quello che si potesse ascoltare anche sui dischi è stato uno dei motivi principali del distacco dalla produzione Lucariello e con “Viva” un altro grosso ed ulteriore passo viene fatto in questa direzione. La prolificità di Facchinetti porta alla luce una composizione che, chiamata inizialmente “La maggiore voci”, sotto le mani di Negrini diventa nella sera dello stesso giorno “Powha l’indiano”, in seguito “L’ultima notte di caccia”.

«Durante la tournée Americana del 1977 facemmo tappa a Montreal in Canada per tre concerti e approfittando dei due giorni di "tranquillità", pensammo di andare a visitare una riserva indiana della quale continuavamo a sentir parlare. Una mattina partimmo molto presto accompagnati da Alex, amico americano di Dodi, e dopo circa due ore di macchina, in mezzo ad una vegetazione straordinaria, lontana dal mondo, arrivammo all’ingresso della riserva "Charavatana" nell’Ontario, ci fermammo in una sorta di posto di frontiera, uno spiano con una casetta prefabbricata. Sulla veranda seduto su un dondolo un uomo in jeans e maglietta fumava e guardava incuriosito le nostre due macchine. Era un indiano. Parlottò a lungo con Alex e poi ci indicò l’unica strada esistente dalla sua casa in poi. Cominciammo a rimetterci in moto e ad arrampicarci sulla salita sterrata, lasciandoci dietro un nuvolone che faceva pensare ad un concerto dei Pooh. Passammo accanto a qualche casetta di legno e poi ancora accanto ad un campo di football ed infine ad una specie di stalla. Era uno "store", ossia uno spaccio di quelli da film americano dove c’era dentro di tutto, un negozio per turisti: oggetti indiani fatti in serie, penne, totem, archi, frecce, pelli sintetiche di bufalo, insomma una triste ricostruzione di un folklore della Disneyland. La signora grassa che sedeva dietro ad un banco lunghissimo ci spiegò che non essendo domenica, non avremmo trovato niente di interessante: né donne intorno ai fuochi, né campi di guerra, né tantomeno indiani con le penne a cavallo. Fu quasi una liberazione, eravamo capitati in un giorno "normale", un giorno in cui non era previsto lo "spettacolo" per gli yankees, un giorno in cui i bambini erano a scuola e loro, gli indiani, erano solo "persone" senza segni di guerra dipinti sui volti, né asce da sotterrare. Parlammo un po’, le raccontammo di essere italiani, sembrava contenta e ci fece vedere tutto quello che aveva nella baracca, comprammo tutti qualcosa. Entrò nel frattempo un ragazzo, aveva i capelli neri e lunghi e si incuriosì del nostro linguaggio italiano. Faceva il maestro nella scuola della riserva; parlammo a lungo, ci sedemmo a mangiare con lui. Più parlava e più avvertivamo il suo risentimento nei confronti dei "bianchi", come se noi però non ne facessimo parte. Dignità, religione, terra e cultura, tutto calpestato dai bianchi e adesso prigionieri del folklore, accampati come in un circo a rievocare per qualche dollaro la loro storia, a fare il verso ai loro drammi, a vergognarsi del loro presente. Parole gravi dette da un ragazzo che non aveva più di vent’anni. Ci invitò nella sua scuola. Lo seguimmo, era a poche centinaia di metri, un grande prefabbricato con un esteso campo alle spalle al centro del quale si trovava un pennone con la bandiera americana. Una trentina di bambini si rincorrevano, lo videro e gli corsero intorno. Si sedettero a terra in cerchio e noi con loro; ci presentò, raccontò loro dell’Italia, di quella terra lontana da dove venivamo, dove non c’erano riserve e dove da sempre ognuno era padrone della loro storia. I bambini ci guardavano; lui si mise a raccontare ai bambini una storia, però era diretta a noi. Diceva così: un indiano scese fino alla casa dei bianchi, perché lì c’era la sua donna, una donna bianca, e da lì non tornò mai più, perché i bianchi non accettarono il fatto che una loro donna potesse amare un indiano. Nelle sue parole c’era tutta la tristezza di chi da duecento anni, continua ogni giorno a perdere la sua guerra. Facemmo delle fotografie insieme, ci abbracciammo e la sera tornammo a Montreal. Per tutto il viaggio nessuno disse una parola. I Pooh incisero una canzone che raccontava di quella storia e la intitolarono L’ultima notte di caccia». Maurizio Salvadori

«Il testo mi conquistò subito. Rispecchiava perfettamente l’energia e la coralità della musica. E poi la storia dei pellerossa ci aveva colpito. Avevamo visitato le riserve indiane nei nostri viaggi negli Stati Uniti. Nel 1977 avevamo anche ascoltato i racconti degli indiani. Parlavano di un’altra faccia dell’America, che avevamo tutti dimenticato. Ci toccava la poesia, la spiritualità che uscivano dalle loro parole. Eravamo capitati in una riserva la mattina di un giorno di festa. C’era il capo tribù che parlava ai bambini: "Ricordatevi" diceva, "che quando il sole sorge, sorge per tutti". Li incitava a non lasciarsi piegare dal peso dell’emarginazione». Roby Facchinetti

Anche D’Orazio firma un testo, “Rubiamo un’isola”, che continua idealmente il discorso iniziato con “La leggenda di Mautoa”, quasi in una parafrasi di “Wooden Ship” dei Crosby, Stills & Nash con dieci anni di ritardo ma con disincanto rispetto alla composizione di David Crosby, Paul Kantner e Stephen Stills.

«I tempi stavano cambiando, le utopie cadevano. Gli anni precedenti erano quelli della fantasia al potere. Ora, invece, fantasia era poter sognare la fuga. Trovare l’isola che non c’è. Ricominciare». Stefano D’Orazio

Viva” esprime le virtuosità del gruppo nei suoi diversi aspetti, ma la canzone firmata proprio dal virtuoso per eccellenza del gruppo, Dodi Battaglia, rappresenta il brano più delicato dell’album, composta al piano dal chitarrista.

«Il mio lavoro di autore ha sempre percorso strade diverse da quelle di musicista e arrangiatore. Attraversavo un momento forse non troppo prolifico nella scrittura, perché molto concentrato sullo strumento. Quelli erano gli anni del chitarrismo, di un tecnicismo così esasperato che di lì a poco avrei deciso di ridimensionare in nome di una ritrovata semplicità». Dodi Battaglia

Canzian, dal suo canto, realizza una melodia molto country impreziosita dalla slide di Battaglia su cui Negrini cuce un testo dedicato al merlo indiano del bassista, firmando così “Susanna e basta”. Il gruppo sceglie ancora per le registrazioni dell’album gli Stone Castle di Carimate, soddisfatti dai risultati ottenuti per “Boomerang”, e si ritrova con Ezio De Rosa, il tecnico del suono che lavora con il gruppo fin dal 1974 e con cui c’è una forte intesa ed una grande amicizia.

«La ricerca si concentra subito sui suoni composti. Poter lavorare su 24 piste, allora, sembrava il massimo. E poi al Castello si respirava un’atmosfera unica: si lavorava senza orari, in totale libertà, senza le pressioni e i controlli dei discografici. Tutto questo aiutava a riscoprire il piacere dello stare insieme». Ezio De Rosa

Anche Gianfranco Monaldi è della partita e si deve a lui il particolare impasto vocale per l’introduzione di “Notte a sorpresa”, ottenuto rielaborando dei cori soffiati abbinati ad un wah-wah per chitarra con l’Aphex, un vocal exciter che esalta le alte frequenze vocali.

«L’avevamo preso in affitto perché la casa inglese che l’aveva progettato non aveva mai voluto metterlo in vendita. Giravano anche strane leggende. Tipo che se qualcuno avesse tentato di aprirlo, si sarebbe automaticamente distrutto. Lavorammo su otto piste di voci sovrapposte l’una sull’altra; l’Aphex, collegato al banco, dava quell’effetto sabbia che ci serviva. Ci piaceva giocare con le voci. Monaldi, seduto al pianoforte, ci aiutava ad armonizzarle». Red Canzian

Il nome dell’album è stavolta trovato da Battaglia, da un negozio di abbigliamento casual nei pressi di casa sua, a Bologna, a cui il chitarrista aveva commissionato una serie di magliette con il logo del gruppo impresso sul petto.

«Andai a ritirarle e fu un bel colpo d’occhio: c’era scritto "Pooh by Viva"’. E quel "Viva" suoanva benissimo nella mia mente. Poi rispecchiava il carattere del disco che stavamo producendo. Per questo dissi agli altri di adottarlo come titolo. La scelta di chiamare così anche lo strumentale arrivò di conseguenza». Dodi Battaglia

«Il brano Viva valorizzava al massimo le potenzialità del gruppo. E indicava perfettamente la direzione nella quale ci stavamo muovendo». Roby Facchinetti

Anche Canzian comincia ad approfondire nuove tecniche dello strumento, tentando un primo approccio allo slap.

«Ero tornato dall’America con i dischi di Stanley Clarke, che mi avevano aperto un mondo. Esattamente com’era successo, un paio di anni prima, con Pastorius. Il Music Man, il basso che usavo ai tempi, era perfetto; la mia tecnica, meno. Registravo su due piste diverse, una per il battere, una per il levare. Mi raffinai l’anno dopo, lavorando su Caro me stesso mio». Red Canzian

La copertina del nuovo album deve comunicare questo grande cambiamento dei Pooh, e Luciano Tallarini viene messo sotto pressione da Canzian, più vulcanico che mai per suggestioni e spunti. L’idea di partenza viene dai segni zodiacali e da come questi influenzano i caratteri e la personalità.

«Red voleva un’immagine che potesse poi essere trasportata sul palco, come scenografia. Da quell’idea dei quattro profili, ispirati agli elementi della natura: terra, aria, acqua e fuoco. I fasci di luce colorata al centro erano in realtà i raggi laser che usavano nei concerti. Aggiunsi le montagne, ai piedi del disegno, per rendere il tutto meno etereo. Non era il manifesto del film Guerre Stellari». Luciano Tallarini

L’album è pronto in primavera, e la presentazione ai discografici riscuote il gradimento e l’entusiasmo di questi ultimi non è che un anticipo del successo che l’album incontra alla pubblicazione, trainato dal singolo “Io sono vivo / Sei tua, sei mia”, che balza subito in testa alla classifiche. La copertina del singolo, con i quattro in frac bianco, è un omaggio alla copertina dell’album “Goodbye” dei Cream, fa mostra di sé nelle vetrine dei negozi di dischi nel mese di maggio e sarà l’ultimo singolo dei Pooh ad avere come lato B una canzone inedita sull’album, che arriverà nei negozi solo nella prima metà di luglio.

I Pooh in frack
I Pooh in frack per la copertina del singolo “Io sono vivo / Sei tua, sei mia

Per l’imminente tour i tecnici dei Pooh preparano nel teatro di Budrio, loro base operativa, quello che sarà il palco, con i quattro profili della copertina di “Viva”, mentre il gruppo è ancora alle prese con il missaggio finale dell’album. A questa fase seguirà, quando i quattro raggiungono la cittadina emiliana, la preparazione della setlist dei concerti e relativi arrangiamenti per quello che sarà lo “Italian Tour 1979”, destinato solo ai grandi spazi. Lo spettacolo prevede una serie di blocchi di canzoni intervallati da quattro spot solistici, in ordine di Facchinetti, poi di Canzian ed a seguire D’Orazio ed a concludere Battaglia, che regalerà ad ogni concerto un assolo diverso anche nella durata, sul cui finale il gruppo rientra e si ricompone riprendendo a suonare insieme.

«Quando gli altri rientravano sulla scena si univano alle sue note, riprendendolo come in una rincorsa. Era un gruppo che piaceva per la musica ma anche per la sua immagine. Ognuno dei quattro aveva i propri fan e stava attento a ritagliarsi un proprio spazio, all’interno dello spettacolo. Tutto era studiato nei minimi dettagli, dalla camminata ai movimenti sul palco, ai costumi. Fuori dai palasport, dagli alberghi, dai ristoranti assistevo agli stessi assalti, alle stesse scene d’isteria che qualche anno dopo avrei visto lavorando con i Duran Duran». Maurizio Miretti

Special guest sul palco, durante l’esecuzione di “Pronto buongiorno è la sveglia”, il tecnico di palco Pasquale Di Lauro, che si aggiunge al gruppo vestito di un frac bianco e che li accompagna con uno strumento a percussione costruito insieme a D’Orazio con una tavoletta di legno, soprannominato “Trikke ballack” (storpiando il nome di uno strumento tradizionale della musica etnica dell’Italia Meridionale, il Triccheballacche) che ricorda il tip-tap.
In questo tour esordiscono anche i lanciafiamme, che nel finale del tour sparano lingue di fuoco alte fino a sei metri e che non mancheranno di lasciare i segni sotto i soffitti dei teatri in cui durante il tour capita di suonare, nonostante l’iniziale destinazione dello spettacolo agli spazi aperti.

Il palco dei Pooh
Concerto a Cantù, in provincia di Como

Dopo la conclusione del tour con la data allo stadio San Paolo di Napoli con 50.000 spettatori (ricordata dal gruppo per il danno subito derivante dal sequestro degli incassi degli effettivi biglietti, previsti nel numero di 18.000, rispetto a quelli effettivamente venduti dai bagarini che avevano riempito così lo stadio di 32.000 persone in più e, indebitamente, le loro tasche con i relativi proventi), le cui immagini chiudono lo special televisivo realizzato da Ivan Falardi, tocca all’apparizione del 9 settembre al Festivalbar nell’Arena di Verona che ne sancisce il trionfo, con l’apparizione del gruppo con tutto il suo palcoscenico. Battaglia suona imbottito di antidolorifici, in seguito ad un incidente stradale occorsogli, pur di non disattendere le attese del pubblico.

«Erano anni in cui si viaggiava tanto e si dormiva poco. Persi il controllo dell’auto per evitare una cassa d’acqua minerale che mi ero trovato davanti sulla carreggiata dell’autostrada. All’ospedale volevano fasciarmi; io, stoicamente, dissi di no. Non volevo compromettere la serata all’Arena. Risultato: la clavicola non è più tornata al suo posto». Dodi Battaglia

Un po’ a sorpresa per il gruppo, durante il tour, era arrivata la comunicazione da parte della casa discografica che “Notte a sorpresa” era stata scelta come sigla dell’acclamatissima trasmissione televisiva Domenica In. Il singolo che la vede affiancata a “Tutto adesso” come lato B, vedrà la luce nel mese di novembre, sul traino anche del videoclip promozione realizzato per l’occasione, uno dei primi prodotti con l’attenzione dovuta da parte delle major in Italia.
Nel frattempo la vendita del master di "Rotolando respirando" in Bulgaria apre una ulteriore via ai concerti nell’est europeo, nonostante logisticamente i luoghi deputati alle apparizioni live del gruppo non siano in grado di reggere il carico di energia richiesto dal tipo di spettacolo. Viene dato luogo quindi a dei concerti illuminati a giorno dai neon, ma senza effetti luce, specialmente del laser che viene sequestrato a Sofia, dando al gruppo ulteriori spaccati di quello che era il clima di oppressione vigente nei paesi oltre la cortina di ferro.

«Nel pomeriggio si presenta una commissione che, a nome delle autorità locali, ci diffida dall’utilizzarlo durante lo spettacolo. Temevano che il pubblico, sovreccitato da effetti speciali mai visti, potesse creare problemi di ordine pubblico». Dodi Battaglia

«Ricorderò sempre un ragazzo che, seduto nelle prime file, a un certo punto si era alzato gasato dalla musica e aveva agitato in aria la sua giacca. La polizia era intervenuta all’istante, pestandolo con gli sfollagente». Red Canzian

Al ritorno in Italia, i Pooh ripartono in tour con una setlist parzialmente modificata, registrando ancora dei sold-out in tutti i palasport. Pupi Avati documenta per la Rai il concerto di Udine, che vienetrasmesso su Rai Uno la notte di Natale con il titolo “Viva in concerto”. Affiancare il grande regista, che è anche musicista, è motivo di grande entusiasmo per il gruppo.

«Avati non è solo un regista. È un musicista come noi, anche se legato a mondi diversi dal nostro. In particolare al jazz. Ci trovammo d’accordo subito». Dodi Battaglia

«Avevo visto i Pooh dal vivo una sola volta, poco tempo prima al Palalido di Milano. C’era gente aggrappata ovunque, un pienone incredibile. La vera sorpresa fu il primo incontro con loro. Erano i numeri uno, me li immaginavo quindi piuttosto inarrivabili. E invece avevo trovato quattro ragazzi simpaticissimi, molto alla mano e con una grandissima voglia di lavorare. Si erano messi a disposizione, dimostrando una pazienza infinita. Nel film cercai di mostrare anche il dietro le quinte del loro spettacolo, dall’arrivo dei TIR al mattino, alla corsa dei Pooh dai camerini fino al palco, tra due ali di folla». Pupi Avati

I Pooh e Pupi Avati
I Pooh con Pupi Avati

I dischi pubblicati nel 1979

Io sono vivo / Sei Tua, Sei Mia     Viva     Notte a sorpresa / Tutto Adesso

Biografia anno 1978 Biografia anno 1980